Un libro breve, quasi un sospiro; è il lamento ansioso eppure sommesso di una bibliotecaria di provincia intrappolata nel seminterrato, dove si accatastano i volumi meno consultati. Il monologo – veemente e tenace – è uno sfogo e un atto d’amore: lo sconforto per un legame finito e l’esaltata dichiarazione alla letteratura, amata e vissuta più dell’esistenza stessa. Si assiste alla scorsa rapida e intensa di un catalogo ampio d’intellettuali e scritture; perché – nella voce della bibliotecaria – rinascono e trovano forza i pilastri della nostra cultura, citati come compagni e fondamento di una vita intera.
La voce narrante appartiene a una custode sopra le righe; non c’è nulla di lirico nell’amore appassionato e contraddittorio, quasi carnale, che riversa sulla carta stampata. È una piena di confessioni caotiche, a volte farneticanti; contiene la forza espressiva dell’immaginazione imbrigliata troppo a lungo e che, finalmente, esplode.
Consigliato a chi riconosce le sfumature e non si lascia scoraggiare dal nero. È un libro veloce, per più di un motivo.
“Che cosa fa? No, non si sieda qui. È la mia scrivania. Non mi sono annoiata a morte allo scopo di passare i concorsi interni all’età di quarant’anni per non avere neppure una scrivania. Questo è il mio posto. È qui che seleziono, catalogo, segnalo, codifico, ascolto e, qualche volta, come le dicevo, consiglio. Se me lo chiedono con gentilezza.”
La custode di libri
Sophie Divry
Einaudi, 2012